Tra gli ultimi album usciti uno in particolare ha attirato la mia attenzione. Già da più di un mese e mezzo era stato annunciato il suo arrivo con due singoli opposti in tutti i sensi, “Shapeshifter” e “Sweet Dream”, ma proprio il 24 settembre 2021 tutto l’album è stato rilasciato su ogni sito di vendita di articoli musicali e ogni colosso di distribuzione sonora.
Di quale stiamo parlando? Ma ovviamente dell’ultima produzione della Def Jam, l’album di Alessia Cara “In the Meantime”. Molti di voi non sapranno neanche chi sia questa cantante… ma non preoccupatevi, sono qui per illuminarvi!
Alessia Caracciolo, in arte Alessia Cara, è una cantautrice canadese di origine italiane (entrambi i genitori, trasferitisi poi in Canada, sono calabresi) che ha iniziato la carriera tra le mura della sua stanza a Brampton (Ontario). Il singolo con cui ha debuttato, che la portò anche al successo mondiale, scalando man mano la Billboard 100 Hot dell’Australia, del Canada e degli Stati Uniti, è stato “Here”, brano riguardo una festa a cui la cantate aveva partecipato e in cui si era sentita particolarmente a disagio. Il 13 novembre 2015 esce il suo primo album “Know-It-All”, una creazione che fin da subito ha dimostrato il suo talento indiscusso e l’importanza che ha per lei la musica. Sicuramente i brani più noti della sua discografia sono “Scars to your Beautiful”, inno alla bellezza in ogni sfaccettatura dell’esistenza umana, e “Stay”, una richiesta di ricostruzione di una relazione terminata. Nel novembre del 2018 Alessia pubblica il suo secondo album “The Pains of Growing” (che consiglio vivamente di recuperare) in cui ci dà la sua visione dell’adolescenza e di tutti i problemi che comporta il maturare come il non sentirsi pronti per le responsabilità, il mettere in questione tutte le certezze e molto altro ancora. Quest’album ha ricevuto sicuramente una positivissima opinione dalla critica ma non tanto dagli ascoltatori del globo tanto da farlo arrivare solo al ventesimo posto in Canada. In seguito ha pubblicato un EP estivo chiamato “This Summer” con canzoni su temi vari che non ha riscosso molto successo.
E siamo arrivati al 2021 e all’uscita di questo freschissimo prodotto. Il terzo album della cantante, come già citato prima, si intitola “In the Meantime” ed è di certo una graditissima sorpresa.
Come anche la cantante ci ha fatto capire più e più volte, quest’album non è una semplice linea retta ma è un continuo bivio, una dualità infinita che riflette l’anima dell’artista (ormai maturata nel suo percorso di vita). Lo si può subito notare dai due singoli rilasciati come annuncio della “nuova era”: “Sweet Dream” è un pop molto accattivante, alternato dalle note dolci di un’arpa ad un bit malinconico e a tratti ansiogeno, che diventa il preambolo di un flusso di pensieri notturni sull’insonnia della cantante; “Shapeshifter” è invece un delicato e semplice R&B, degno della grandissima Amy Winehouse, che nasconde una rabbia tendente alla delusione della cantante verso il ragazzo che l’ha ferita.
Insomma si passa da problematiche esistenziali come il tempo, l’ansia, il vivere da soli e gli attacchi di panico… e una parte delusa, arrabbiata e nel corso di una fase di accettazione dell’amore oramai finito.
Di sicuro ognuno di questi rappresenta al meglio lo stile di Alessia: lei spazia dal puro Pop al Reggae, dalla semplicissima Ballad ad un ritmato e melanconico R&B. Il tutto sempre rinnovato con qualsiasi mezzo, sia esso una tromba in sottofondo e sfumata, alternata ad un bit lento ma costante, siano degli estratti integrati perfettamente con la dissolvenza o anche per la varietà di strumenti usati come l’arpa o il violino. Tutto viene reso unico e irrepetibile.
Interessante è anche vedere come l’ordine delle canzoni sia centrale nell’album: sono spesso legate tra loro da note simili, suoni che sembrano riecheggiare a brani precedenti o effetti ripetuti che danno più unità all’opera. Spesso alcuni brani (come “Unboxing Intro”) sono delle anticipazioni ai brani che stanno per arrivare.
Credo che due brani essenziali siano “Shapeshifter” e “Best Days”:
“Shapeshifter”, come ho già accennato prima, è sicuramente la traccia più tendente all’R&B tra tutte: lo strascichio di versi quasi parlati ma pieni di emozioni, i run leggeri ma d’effetto alternati a frasi recitate, il basso incalzante e che parla quasi quanto i versi, il ritmo delle percussioni continuo ma mai stancante.
Alessia però dà sempre il suo tocco finale, quell’arpa che collega il brano a “Sweet Dream” (a cui in realtà è direttamente collegato attraverso la melodia, attraverso il video ma altrettanto attraverso il concept del sogno).
Al contrario della musica certamente malinconica, il testo è tutt’altro che triste, è piuttosto la riproduzione di una rabbia e di uno sconcerto profondi diretti a chi l’ha offesa.
Don't know if I wanna get you back or get you back someday
Don't know if I'm even mad or just sad you couldn't stay, yeah
Go figure, team switcher, it's a shame
Did I get fooled or are you a fool just like me?
La sua rabbia la porta a divedersi a metà, se quello che vuole sia averlo accanto o dargli un’altra chance, se lei sia solo arrabbiata o anche triste del fatto che non sia rimasto. La cosa interessante è che però gira anche la medaglia dall’altro lato e dice all’interessato di guardarsi dentro: sono stata solo io ad essere ingannata… o anche tu sei stato uno sciocco come me? Anche tu sei stato ingannato dalla terza parte della “nostra” relazione (We were never two, my dear, we were three)?
La persona colpevole di tutto questo dolore è “Quitter” (colui che si arrende), “Mindrifter” (lett. svia mente), “Team Switcher” (lett. cambia squadra) etc… insomma un ingannatore, un bugiardo incallito. La molteplicità dei soprannomi rimanda proprio al titolo, “Shapeshifter” (mutaforma), e al video clip in cui Alessia cambia forma, cambia personalità proprio come hanno fatto con lei mentendole.
Come dice la cantante stessa, “Shapeshifter” “rappresenta le parti più sofisticate e impetuose dell'album. Ho dovuto sperimentare diverse forme di dolore per riguadagnare la mia stabilità e questa canzone sembra così salda, nonostante non si tratti della cosa più felice”. Quella dualità dell’album, accennata svariate volte, e quindi lo specchio di una Alessia vulnerabile e scissa da una tristezza ed una delusione davvero forti, dei sentimenti, espressi in canzoni come “Middle Ground” o “I Miss You Don’t Call Me”, che servono alla autrice a voltare pagina.
“Best Days” è un brano struggente e profondo nato da un semplice verso che doveva appartenere al bridge di “Box in the Ocean”:
What if the best days are the days i’ve left behind?
Una frase semplice ma di effetto che forma la base per un pensiero molto filosofico da parte di Alessia: e se tutto ciò che c’era di più bello è finito e non può accadere nulla di più? E se non succedesse nulla di nuovo, se tutto rimanesse uguale? La sua risposta a questo quesito?
You live and then you die
But the hardest pill to swallow is the Meantime.
Are the best days just the ones that we survive?
Beh viviamo e moriamo ma, soffrendo, “ingeriamo quelle pillole”, i “Meantimes”, momenti di cui è fatta l’esistenza tra le due estremità di ogni cosa, e esistiamo senza sapere se quello che abbiamo abbandonato, il passato, il “πρό ἐόντα”, tutti gli eventi successi precedentemente alle cose presenti, siano stati i migliori di sempre. E’ un carpe diem molto più sottile e dalle note più amare, infuso nella prima età adulta dell’autrice.
Sicuramente, lo ammette anche Alessia, il lockdown ha influenzato molto il suo lavoro tant’è che ci dice: “il Tempo, nonostante il suo continuo movimento, quando ne hai fin troppo tra le mani, può farti sentire intrappolato. E’ come un enorme specchio ingranditore posto davanti al volto: non è molto divertente guardarlo ma sicuramente mostra la verità”. Il tempo, con cui lei ha un particolare legame (lo vediamo da “Seventeen” e da molti altri suoi brani in modo meno diretto come “Clockwork” o “Stay”), può essere quindi lo specchio della realtà, un mezzo per capire meglio noi stessi e non per forza un’oppressione o un “memento mori” (ricorda che devi morire), ma piuttosto un mezzo per analizzare la nostra psiche al meglio e renderci consapevoli dei dettagli che ci caratterizzano, sia quelli “buoni” che quelli “cattivi”.
Questo “pacchetto” di pensieri filosofici viene chiuso e perfezionato da una melodia davvero intensa: un pianoforte accenna note in tonalità minore per creare l’atmosfera; sopraggiunge la voce di Alessia; la tensione sale sempre di più insieme alla sua voce fino all’acuto che crea lo spazio d’entrata al ritornello. Il ritornello è tratteggiato da accordi costanti che creano un climax e, dopo aver posto la domanda fatidica, gli accordi rallentano fino a fermarsi; riprende con degli angelici gorgheggi accompagnati da un leggero e cadenzato beat e un rumore di bicchieri nel momento del cin-cin (rimando al video-clip e ai bei momenti passati). E questo è solo il primo minuto e mezzo dello splendido montaggio e potere di questo brano.
Questi due prodotti sono solo un assaggio di un bellissimo studio delle proprie vulnerabilità e delle proprie ferite. Andatelo ad ascoltare su tutte le piattaforme e gustatene ogni dettaglio.
Di Claudia D'Errico, Liceo L. A. Seneca, 4°A
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