“Per secoli e secoli la gente come lei ha ritenuto gli ebrei indegni di qualsiasi considerazione, inferiori ai servi, la feccia della terra, una razza di intoccabili, insomma. E mia madre non solo detesta gli ebrei, ma li teme, anche se non ne ha mai conosciuto uno”. (Fred Uhlman - L’amico ritrovato).
Corpi molli, inermi, abbandonati su un suolo insicuro.
Prigionieri senza colpa.
Milioni di visi senza nome, senza capelli, senza voce.
Vuoti negli occhi, morti nell’anima.
Per ricordare tutto questo dolore, nel Museo Ebraico di Berlino vi è un Memory Void, un vuoto di memoria: un ambiente lungo, stretto e poco illuminato. Nel 1997 l’artista israeliano Menashe Kadishman creò un’opera molto significativa, “Shalechet” - “Foglie morte”. Oltre 10mila visi di ferro posti sul pavimento, come foglie autunnali sulle vie delle città. Le facce sono tutte diverse tra loro. Ogni volto simboleggia quello di ognuno dei sei milioni di ebrei trucidati, morti nel silenzio dei campi di concentramento, silenzio ricreato dall’ambiente vuoto, silenzio che diventa assordante quando i visitatori camminano sopra le lastre: è il rumore metallico delle catene.
Volti calpestati da passi pesanti che lasciano impronte tanto violente da bucare il terreno.
Passi di giganti che rapiscono l’Uomo in un vortice di paura, di piena incertezza, di completo smarrimento e Lui perde l’equilibrio e cade nel vuoto più oscuro della morte.
Lui, strappato dalla vita, è ormai un volto mosso dal vento.
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