“Se adorate le storie sulle famiglie che fanno fronte comune e si amano nella buona e nella cattiva sorte, per cui arriva sempre il lieto fine… questo film non fa per voi, ok?”
Solo 13 secondi dall’inizio del lungometraggio e già percepiamo il carico di ironia e di divertimento che questa pellicola porta con sé. “La famiglia Willoughby” è uno dei pochi film animati prodotti e distribuiti dalla Netflix (per adesso, visto che la casa di produzione vuole ampliare la quantità a 7 film all’anno e ha già in corso vari progetti). Le aspettative, sicuramente alle stelle dopo il successo di Klaus, a mio parere sono state appagate pienamente.
Diretta da Kris Pearn, sceneggiata insieme a Mark Stanleigh e tratta dall’omonimo libro per ragazzi di Lois Rowry, la pellicola parla di una famiglia “d’altri tempi”, grandiosa e famosa in ogni epoca per le sue emozionanti avventure e importanti scoperte, che vive in una casetta "d'altri tempi", coloratissima e con un giardino rigoglioso come non mai tra i grattacieli alti e grigi della città. La discendenza era sempre stata perfetta, un Willoughby dopo l’altro si era distinto per coraggio, onestà e tutti i più puri valori, portando sempre al primo posto una sola cosa: la famiglia. Infatti tanto era importante per loro il "nido pascoliano" che ogni giorno si riunivano a mangiare insieme, combattevano tutti e a ognuno di loro si faceva crescere i distintivi baffi lanosi color fucsia, tendente al rosso carminio (persino alle donne).
Tutta la gloria finì quando arrivarono Madre e Padre (così chiamati nel film), una coppia di Willoughby follemente innamorata, così talmente follemente innamorata da non riuscirsi a dividere nemmeno per un minuto (letteralmente, neanche per un minuto del lungometraggio si allontanano l’uno dall’altra per più di 20 cm). I due sono la simbiosi perfetta tra una coppia di sposini nei primi anni del loro matrimonio e uno dei peggiori esempi genitoriali: sono affettivi esclusivamente all’interno del loro rapporto, un continuo tripudio di battute con doppi sensi che i bambini ancora non percepiscono (soltanto la parola “sferruzzare” esprime mille significati diversi inerenti al sesso) e individui odiosamente egoisti ed egocentrici. Insomma dei personaggi calzanti a pennello nel loro ruolo.
Da tutto questo amore però (dato che, per loro, l’uso del profilattico sembra inesistente) non possono che nascere dei neonati. Primogenito della coppia è Tim, un ragazzo alto, magrissimo e dai capelli del distintivo colore familiare. E’ indipendente, diffidente e alla ricerca della famiglia perduta. Successivamente nacque Jane, un’adolescente bassina che indossa sempre un vestitino verde e ha lunghi capelli fucsia-rosso e lisci. E’ piena di fantasia espressa attraverso i suoi continui “e se…” e la sua ripetitiva canzoncina ed ha inoltre un certo gusto per la lettura (soprattutto per le storie di paura o senza una buona fine…). Infine nacquero i Barnabini, gemelli siamesi anche loro caratterizzati dallo stesso colore di capelli dei loro predecessori e fratelli. Sono inventori che si completano le frasi a vicenda e che si scambiano un maglione donato a loro da Madre (unico gesto “d’affetto” nei loro confronti da parte dei genitori).
Tim cerca disperatamente di tornare ai tempi remoti in cui i Willoughby erano ancora rinomati per la loro importanza. Sogna i grandi pasti in compagnia, i combattimenti e le scoperte che distinguevano la famiglia e quei magnifici enormi baffi lanosi che crescevano ad ogni membro. Il ragazzo perciò, essendo il più grande, tenta di essere anche quella figura paterna che ai fratelli manca, ricordando sempre cosa fosse corretto e non per un Willoughby ma dimenticandosi puntualmente di essere lui stesso ancora giovane e di aver bisogno di quelle cure infantili mancategli da sempre (più di tutti). Jane, forse proprio grazie alla fantasia che nutre le sue speranze, è il personaggio più ottimista e scansonato del lungometraggio: ha sempre la battuta pronta e sa come convincere Tim in ogni sua peripezia. E’ scaltra e intelligente ma alla stesso tempo dolce e premurosa. I Barnabini… beh… sono i Barnabini! Con quel loro agghiacciante volto dalle pochissime espressioni, le loro menti promotrici di idee e progetti pazzeschi e la loro obbedienza ai fratelloni diventano uno dei principali meccanismi comici del cartone.
Questi ragazzi, maltrattati e senza alcun tipo di amore mai ricevuto, davanti al portone della loro casa d’altri tempi, riceveranno il movente di tutta la storia: un’orfana. I giovani Willoughby infatti, dopo che questa piccolina viene cacciata dalla villa, stanchi dei loro genitori non curanti ed egoisti, inizieranno una serie di avventure che li porterà ad organizzare un intricatissimo piano. Il progetto? Un enorme viaggio in cui inviare i loro “parenti” (in senso latino) intorno ai luoghi più pericolosi del mondo: dalla Foresta Pluviale in Amazzonia, al Deserto del Sahara in Africa; dalle acque più profonde del Pacifico, alle Alpi inscalabili in Svizzera. Lo scopo? Sbarazzarsi dei genitori e diventare… orfani!!
Il film parla di famiglia, di genitori adatti, inadatti, poco alla mano ma con tanta voglia di imparare e altri esempi. Parla di come non esista una famiglia “perfetta” (l’esempio di quest’ultima viene mostrato edulcorato ai massimi eccessi proprio per far percepire al bambino l’irrealtà del nucleo) spiegando che la famiglia è quel gruppo di persone che ti amano, si prendono cura dei tuoi “bisogni bambineschi” durante l’infanzia, supportano le tue decisioni crescendo e che vogliono che tu sia felice. Insomma la famiglia non dev’essere per forza composta dal classico quartetto madre, padre, fratello e sorella; può essere numerosa, con un solo erede o senza prole, con i genitori divorziati, assenti per motivi diversi o mancanti a causa di una morte prematura. Può essere formata da una coppia omosessuale o etero, può essere plurinazionale, può essere formata da genitori adottivi o da persone che hanno condiviso con te delle emozioni, degli eventi formativi o altro. L’importante è l’obiettivo da raggiungere: formare persone capaci di vivere consapevolmente, autonomamente e sapendo scegliere tra bene e male.
La vera famiglia che quindi si celebra in questo film è proprio quella dei piccoli Willoughby, i fratelli che, insieme, nel loro strano modo, si guardano le spalle a vicenda e maturano, ma con l'aggiunta del particolare terzetto Melanoff-Linda-Ruth: il Comandante Melanoff è il creatore di una fabbrica di dolciumi rinomatissima. È mancante nelle relazioni interpersonali ma ha un cuore dolce e sensibile; Linda è una buonissima tata canterina, affettuosissima e contro ogni tipo di violenza; Ruth è l’orfana per eccellenza. Iperattiva e dalla pelle color rosa acceso e i capelli blu oltremare, è il movente di tutta la trama.
La famiglia però è solo il tema principale che poi da spunto a tutto il mondo che c'è intorno al crescere un bambino. Ad esempio, viene trattato il tema del lavoro nel campo degli assistenti sociali che, essendo visti nel film attraverso l'ottica dei bambini, vengono mostrati come persone grigie e ligie al loro dovere. Anche la struttura dove viene accolto Tim in una parte del lungometraggio viene rappresentata quasi come un carcere proprio perché filtrata attraverso lo sguardo di un bambino che, abbandonato o senza genitori per vari motivi, vive lì. Altri temi affrontati brevemente sono ad esempio quelli dell'adozione e dell'abbandono, visti sempre attraverso il pensiero che ha di entrambi un bambino nelle vicende di Tim e Ruth, soprattutto ma non solo.
Ciò già vi dovrebbe aver convinto ad andarlo subito a guardare... ma se non è abbastanza, coronate il tutto con una regia interessante, una sceneggiatura simpatica e fresca, una scenografia ironica, coloratissima e ben studiata (basti pensare alla casa dei Willoughby stessa che trasuda antichità da tutti i pori), un cast molto buono nonostante alcuni siano alle prime armi, una colonna sonora orecchiabile e un’animazione stupenda in computer grafica che ricorda particolarmente la stop-motion. Da notare infatti l’attenzione ai dettagli nelle texture dei peli, delle nuvole e di molti altri oggetti, che sembrano ricordare la carta o la lana vera (quasi tangibili).
Insomma se vi siete persi questa perla di Netflix vi consiglio di andarla subito a recuperare poiché, nonostante la sua poca popolarità a causa dell’uscita durante la pandemia, è veramente una produzione interessante e sorprendente!
Di Claudia D'Errico, Liceo L. A. Seneca, 4°A
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