Di Jessica Stefanini, estratto dal giornalino “Zabaione”, Liceo classico Parini di Milano.
Di Jessica Stefanini, estratto dal giornalino “Zabaione”, Liceo classico Parini di Milano.
Lo scorso 6 novembre, la Presidente del Consiglio Meloni ha firmato un controverso accordo con Edi Rama, suo corrispettivo albanese, relativamente al non poco dibattuto tema dell’immigrazione. Il memorandum prevede il trasferimento – o, de facto, la deportazione – dei migranti salvati da navi italiane verso il suolo albanese. Il maschile non è usato per caso: il trasferimento non avverrà infatti per donne e minori, andando probabilmente a causare una serie di disagi dovuta alla separazione delle famiglie migranti. Tuttavia, questo è solo il primo dei tanti nei che l’accordo presenta: innanzitutto, è ancora da chiarire a quali navi saranno effettivamente permessi la messa in salvo e il respingimento collettivo delle persone che fuggono. Le numerose sanzioni alle quali sono state recentemente sottoposte le ONG, con con l’“accusa” di aver sottratto alla morte migliaia di persone in fuga nel Mediterraneo, ci fanno ipotizzare un’ulteriore condanna di queste azioni salvifiche, le quali, nonostante le continue ostruzioni delle istituzioni – che hanno causato un calo preoccupante dell’11% dei salvataggi nel biennio 2022/23 – rappresentano una delle principali realtà alla quale i migranti possono fare affidamento.
Curioso, nonché allarmante, è come Meloni sia riuscita ad aggirare il Parlamento e la Commissione Europea, stringendo con Rama un patto di cui nessuno era anticipatamente stato informato: bypassare in questo modo istituzioni fondamentali come il nostro Parlamento è nientemeno che una grave violazione del principio democratico di cui l’Italia, almeno in apparenza, è solita farsi paladina.
Non è però astruso il motivo per cui la manovra è stata svolta in maniera quasi segreta: il trattato Roma - Tirana è evidentemente una violazione non solo della nostra Costituzione, ma anche del diritto internazionale e delle normative europee – che, ricordiamo, si pongono al di sopra di quelle interne. Non c’è una giustificazione giuridica a questa detenzione, tra l’altro in un Paese extra europeo: l’obiettivo iniziale di scoraggiare le partenze si è trasformato in un impegno attivo per la proibizione di un accesso sicuro al territorio europeo.
Atro punto ambiguo – e di conseguenza pericoloso – è la mancanza di un testo ufficiale: è consultabile una versione ufficiosa, ma non risulta che sia stata data una comunicazione formale dalle Camere.
Secondo le dichiarazioni di Meloni, i migranti trattenuti saranno sottoposti a “giurisdizione italiana”, e di autorità albanese saranno solo le guardie al di fuori dei centri di detenzione.
Appare comunque parecchio confuso: secondo la sentenza n.105/2001 della Corte Costituzionale, qualunque procedura di allontanamento forzato attuata da autorità italiane attraverso il trattenimento in un centro di detenzione deve essere convalidata dalla decisione di un giudice. Come sarà possibile realizzare queste garanzie in territorio albanese?
Tirana metterà a disposizione due spazi in cui verranno costruiti i centri: uno al porto di Shengjin, che si occuperà delle procedure di sbarco e di identificazione, l’altro nella zona di Gjader, dove sarà realizzata una struttura su modello CPR. La somma che l’Italia dovrà versare è di 16 milioni e mezzo di euro, oltre ad altri 100 milioni che la Banca Nazionale d’Albania riceverà come garanzia.
Una cifra non indifferente per un accordo che fa acqua da tutte le parti: secondo il diritto internazionale del mare, le persone soccorse dovrebbero essere fatte sbarcare in un porto sicuro nel Paese che ha coordinato le attività di salvataggio. Al contrario, il trattato vedrebbe la necessità delle navi italiane di fare da spola tra Mediterraneo centrale e Albania.
Al contrario, il trattato vedrebbe la necessità delle navi italiane di fare da spola tra Mediterraneo centrale e Albania.
Questo tentativo disperato di esternalizzazione dei migranti, ormai gradito a più Stati europei, non fa altro che ricercare una soluzione superficiale ad un problema complesso, andando ad incidere sul benessere dei migranti, trattati di fatto come merci.
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