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  • Mario Dall'Asta - Liceo A. Calini

The Social Dilemma

Iniziamo con una premessa.

So bene che fra noi ragazzi questo ambito è finito per suonare ridondante, e io stesso ho lasciato per mesi questo documentario nella casella dei consigliati, per timore che non soddisfacesse le mie già basse aspettative. Per comprendere al meglio è necessario lasciare da parte quel velo di pregiudizio che, ancora prima di partecipare ad uno qualsiasi degli innumerevoli progetti, conferenze o discussioni riguardo ai social media, si mantiene, per la consapevolezza di saperne comunque qualcosa. Perché The Social Dilemma, come ha fatto con me, dimostrerà che è l’esatto opposto.

Il documentario originale Netflix uscito a inizio 2020, infatti, vuole proporre una prospettiva diversa: attraverso l’intervista di numerosi impiegati del settore digitale, con l’aggiunta di medici e professionisti, esplora il meccanismo economico e psicologico dei social network, fin nel profondo degli algoritmi.

Il film prende come fulcro una presentazione di Tristan Harris, designer di Etica del prodotto, a Google, partita come spunto di riflessione per un ristretto gruppo di colleghi, riguardo alle politiche seguite dall’azienda digitale. “A Google stavamo tutti pensando a come rendere più bella la casella di posta elettronica, ma nessuno a farle causare meno dipendenza. Mai nella storia, un gruppo di venti persone ha influenzato le azioni di miliardi”. Da qui, un tuffo nel Vaso di Pandora: non solo semplici operatori, ma direttori e imprenditori dei maggiori Social Network ci svelano il dietro le quinte delle più efficienti macchine economiche sul mercato. Ma, soprattutto, ci fanno ragionare su un piccolo concetto capace di scatenare un’interminabile serie di rivelazioni: “I Social Network non sono un mezzo che sta aspettando di essere usato. Hanno i loro obiettivi”, diversi dai nostri, “e la loro maniera di raggiungerli”. In altre parole, come espone magnificamente Jaron Lanier, scienziato informatico, lo scambio, la transazione, la magia avviene fra queste imprese multimiliardarie e le agenzie di pubblicità, che vendono l’attenzione degli utenti ignorando la nostra parola in capitolo: “Se non stai pagando per il prodotto, allora tu sei il prodotto”; o ancora, con un’angosciante chiarezza nei concetti, un semplice esempio per sviscerare quest’apparentemente complessa meccanica: “Immaginate che qualcuno venga a dirvi: -per dieci milioni di dollari posso cambiare il mondo per l’un percento nella direzione che vuoi tu-“. È l’un percento, ma si tratta del mondo intero. Non solo di chi è manipolabile o cade in dipendenza facilmente, ma di chiunque disponga di un cellulare: non solo di chi crede alle teorie del complotto, ma anche di chi ci si scontra.

Un altro argomento largamente trattato, per l’appunto, è la cosiddetta polarizzazione della società: uno studio effettuato negli Stati Uniti rispettivamente prima e dopo l’esplosione dei social network, ha rivelato come quest’ultimi tendano ad accentuare notevolmente gli estremismi. Se dieci anni fa le posizioni politiche di democratici e repubblicani si concretizzavano in tendenze perlopiù moderate, al giorno d’oggi il repubblicano detesta il democratico e viceversa: ritiene che sia il responsabile della manipolazione di elezioni, e dell'oscuramento di complotti maligni che riguardano la teoria della terra piatta, gli attacchi alieni o qualsivoglia menzogna scoperta sui social network. “Le notizie false si diffondono più velocemente di quelle vere”, e questi ultimi, ricordiamo, hanno come obiettivo primario che tu trascorra più tempo possibile ad “informarti”. Questo schema rappresenta una minaccia alla democrazia, poiché mai prima d’ora sono stati inventati strumenti migliori per la manipolazione di massa: come già succede in molti paesi, governanti privi di scrupoli possono convergere la gente in una determinata direzione, senza che questa se ne renda minimamente conto. Secondo numerosi fra gli intervistati, ciò può portare all’imminenza di guerre civili, o al disinteressamento nei confronti di crisi di gran lunga più importanti, fra cui quella climatica.

A metà del documentario, fra le altre cose, uno psicologo racconta i drammatici sondaggi per quanto riguarda gli aumenti di suicidi e disturbi mentali: se le minacce che incombono sull’umanità intera vi sembrassero troppo distanti, ci sono innumerevoli dati concreti che parlano mentre batto le lettere sulla tastiera: i social network uccidono. “Non siamo abituati a ricevere le critiche di migliaia di persone”, continua, e dietro ciascuno di questi casi c’è spesso una famiglia lasciata allo stremo, che si chiede incredula che cosa stia succedendo al proprio figlio. Questo, è un tema che non va assolutamente messo da parte.

Questa nuova tecnologia ha permesso cose impensabili, come trovare organi o vedere familiari dall’altro capo del mondo”, afferma l’ex direttore della monetizzazione di Facebook, ora direttore di Pinterest, “il vero problema è che si tratta al contempo di utopia e distopia”. Il medico Anna Lembke, direttrice nel reparto di medicina della dipendenza all’università di Stanford, spiega come i meccanismi di dopamina che i social network scatenano nell’uomo siano riconducibili a quelli delle sostanze stupefacenti, e di conseguenza capaci di indurre in dipendenza.

The Social Dilemma si conclude con una riflessione sul nostro sistema economico, e di come ciò che stiamo vivendo sia la conseguenza di un mondo in cui, così come un albero vale di più morto che vivo, noi tutti siamo più importanti di fronte a uno schermo: in altre parole, analogamente a come abbiamo sfruttato ciò che ci circonda, stiamo ora sfruttando addirittura noi stessi. L’appello è chiaro: non si può più rinunciare a queste innovazioni, ma si può fare pressione affinché siano progettate umanamente. “La legge è molto indietro su questi ambiti”, ed è fondamentale che si adatti al più presto.

L’aspetto più piacevole del documentario è stato senza dubbio la confidenza con cui gli intervistati spiegano le complesse dinamiche sociologiche. Per tutta la durata del film, infatti, i discorsi sembrano toccare personalmente e dire “Ehi, amico, sto parlando di te”. Numerose sono anche le frasi d’effetto, disseminate nei punti focali e capaci di rimbombare in testa come penetranti frecce di verità.

Lo consiglio caldamente.



Di Mario Dall'Asta, Liceo A. Calini, 4°G

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