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  • Costanza Muraro - Liceo A. Pigafetta

Vite sospese

Come animali nella foresta. Come foglie accartocciate a terra. Come polvere tra il vento.

The game. Così migliaia di migranti chiamano il tentativo di lasciare la Bosnia. Provengono dal Pakistan, Afghanistan, Iran, Iraq, Siria e, dopo un viaggio devastato da infinite insicurezze, giungono in Bosnia dove rimangono, però, bloccati, prigionieri a cielo aperto. Cercano di scappare, di raggiungere la frontiera con l’Unione Europea. Alcuni, durante il viaggio, muoiono caduti in crepacci o annegati in fiumi. Altri arrivano al confine, ma, quasi sempre, vengono respinti dalla polizia croata, slovena o italiana. Cellulari sottratti. Soldi rubati. Passaporti requisiti. Molti sono anche picchiati. Vengono rimandati in Bosnia dove al momento sono circa 8.500. La maggior parte di questi si trova nel cantone Una-Sana, nel nord-ovest del paese. 6.000 circa vivono nei campi gestiti dall'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Iom). Gli altri 2.500, invece, sono accampati nelle foreste attorno alle città, o in squat: edifici inutilizzati, vecchie case abbandonate, ex fabbriche diventate ormai scheletri consunti. Vivono tutti nelle stesse condizioni: corpi intirizziti, abbandonati su un suolo insicuro, riscaldati solo da qualche fiammella di un fuoco morente. Uomini soli, avvolti in una logora coperta, rintanati nella loro disperazione. Persone che implorano una vita migliore e che, invece, trascorrono giornate vuote, interminabili, in cui pianificano nuove strategie per passare quel maledetto confine. Si organizzano come possono e decidono quando partire. Il giorno prima vanno a pregare, quello dopo a combattere. Si dirigono verso Vrnograc - Velika Kladusa, uno degli ultimi paesi prima del confine croato e poi cadono nel vuoto più profondo, in un turbine di incertezza, di paura, di morte.




Costanza Muraro, Liceo A. Pigafetta, 3°B

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